Le Langhe sono un luogo magico, la culla del vino, ricco di passione e tradizione, circondato dalle mille colline che degradano dall’Appennino ligure verso il cuore del Piemonte e che resistono al tempo e agli umori del mercato.
Si viene attratti facilmente dalle Langhe, perchè il paesaggio, i borghi arroccati sulle colline, le cascine isolate sui dossi, i vigneti che merlettano intere vallate e orizzonti e le montagne che fanno da quinta, sono belli da mozzare il fiato. E poi si è incuriositi dalle sue mille tradizioni, dalla sua cucina e soprattutto dal carattere esplosivo e dallo stile di vita unico dei langaroli. Tutti nati in loco, tutti figli di contadini, tutti con famiglie da generazioni in campo. I giovani studiano ad Alba e ritornano inevitabilmente in loco. I vecchi non vanno mai in pensione, finchè campano, stanno lì a curiosare nelle cantine dei nipoti, a vedere i progressi del vini pronti a tirar fuori consigli preziosi.
Il nome del territorio, Langhe, deriva dal latino “liguae”, vale a dire lingue. Lingue di terra, promontori di colline, tentacoli verdi e ossuti che ramificano verso il cuore del Piemonte dopo aver preso vita dal versante nord dell’Appennino ligure. Già la Liguria. Si dice anche che il nome Langhe possa derivare anche da quello della piccola regione costiera, ma non ci sono certezze. Sicuro è invece che i liguri, commercianti anche verso l’entroterra e non solo oltre il mare, furono i primi a portare le viti nell’area centro-sud del vasto Piemonte. Poi i coloni Romani pensarono a perfezionare le coltivazioni e a creare interi borghi e cantine.
Il Nebbiolo rimane il principe dei vitigni langaroli, ci si fa il Barolo e il Barbaresco, i due vini rossi più blasonati, ma anche un vino in purezza, che vanta una propria denominazione, Langhe doc Nebbiolo. Ci sono, a fargli da corte fedele ma ben capaci di vita autonoma, ma anche molti vitigni importanti. La Barbera prima di tutto, poi la Freisa, il Dolcetto, il Grignolino e i meno conosciuti, fuori regione, Pelaverga e Albarossa. A far buona compagnia anche qualche uva bianca, come l’Arneis, la Favorita e il Moscato, affiancate da uve internazionali ma ormai ben accasate, come lo Chardonnay. Ci sonbo poi vitigni abbastanza rari, come la Nascetta, assolutamente langarola. Ha grappoli dorati, che qualche contadino ha trovato per caso, mischiata ad uve rosse, nelle cantine di famiglia.
Tutto questo racconto fa pensare concretamente ad un territorio in cui si vive con un altro passo, con un ritmo più lento, dove i rapporti locali sono molto più saldi che altrove, dove la piazza, il campanile, l’osteria e l’aia sono ancora luoghi di forte aggregazione, di solidarietà e di chiacchere con un calice di buon vino tra le mani.
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