Il Barolo, definito “il re dei vini e il vino dei re“, è uno splendido vino rosso piemontese, tra i fiori all’occhiello dell’enologia italiana. In undici comuni delle Langhe, produttori saldamente legati al territorio trasformano il Nebbiolo, l’ultima uva rossa della stagione ad essere raccolta, trasformandolo in uno dei vini più apprezzati nel mondo.
Il nome Nebbiolo deriva dalla nebbia, che nel periodo di raccolta dell‘uva , prende forma lungo gli argini del fiume Tanaro, si addensa e sale fino ai vigneti, quelli che stanno tra i primi contrafforti. Con l’andar della stagione la nebbia può raggiungere perfino i campanili dei paesi arroccati. Blu è il colore degli acini, resi opachi dalla pruina, una preziosa sostanza cerosa che si autoproduce per proteggere il frutto dal sole e per far scivolare via l’acqua piovana.
Già nel Medioevo e nei secoli successivi il Barolo continuò a conquistarsi la fama di vino regale. Era infatti consuetudine di sovrani, oltre che di moltissimi nobili, arricchire con classiche bottiglie bordolesi e borgognone scure, le proprie mense. Si racconta che il Barolo fu spesso presente sulla tavola di Luigi XIV, ma grandi estimatori ne furono anche il re Carlo Alberto, i Marchesi di Saluzzo e quelli del Monferrato, Maria Cristina di Savoia.
Camillo Benso Conte di Cavour, infatti, soleva offrire dei pranzi nei quali il vino trionfava. Egli si dedicò personalmente, nella tenuta di Grinzane, alla produzione del Barolo, conseguendo ottimi risultati. In breve tempo divenne un viticoltore espertissimo ed il Barolo dei suoi vigneti poteva competere con i migliori vini francesi.
Si coltiva su circa 5mila ettari, sembrano tanti ma sono solo la metà dei vigneti coltivatti con il Dolcetto e un decimo di quelli con cui cresce la Barbera. Non tutto il Nebbiolo viene trasformato in Barolo, ma dà vita anche al Langhe Nebbiolo doc, Nebbiolo d’Alba doc, Langhe Rosso doc e Roero doc. Inoltre con la stessa uva nasce anche un altro vino principe delle Langhe, il Barbaresco docg. Fatte le sottrazioni occupa quindi 1500 ettari circa.
Ha colore granato pieno e intenso, profumo al contempo fruttato e speziato; sia al naso, sia in bocca ricorda i piccoli frutti rossi, le ciliegie sotto spirito e la confettura, ma regala anche suggestioni di rosa e viola appassita, cannella e pepe, noce moscata, vaniglia e talvolta liquirizia, cacao, tabacco e cuoio. Deve invecchiare almeno tre anni, di cui uno e mezzo in legno di rovere, e solo dopo cinque può fregiarsi della “Riserva”.
E’ uno dei più classici vini da arrosti, specie di carni rosse e accompagna aquisitamente la selvaggina. Tipici nelle Langhe il ”brasato al Barolo” e la ”lepre al civet” realizzati con abbondante dose di questo grande e intramontabile vino. Ottimo con i formaggi a pasta dura e piccante, come il Castelmagno o anche fuori pasto, come grande vino da meditazione.
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