Si chiamano Ensaimadas e sono classici dolci argentini lievitati che vengono preparati con un impasto molto semplice a base di farina, acqua, zucchero, uova e arricchito da un ingrediente non leggerissimo, lo struttodi maiale.
In realtà si tratta di un dolce spagnolo che si caratterizza proprio per la presenza dello strutto e che sono stati importanti in Sud America, a San Pedro, in particolare, da un pasticcere spagnolo.
Sulla pastiera napoletana è già stato detto tutto. La sua fama la precede e non c’è Pasqua partenopea, e non, che non la veda presente in tavola insieme alle altre succulente portate preparate per l’occasione. Quella che vi proponiamo oggi senza avere la presunzione di credere che si tratti dell’unica ed indiscutibile ricetta originale esistente, è senza dubbio una versione molto vicina a quello che è il risultato da ottenere.
Forse sono i biscotti più semplici che esistano, soprattutto per quanto rigurda il loro sapore. Probabilmente alla vista non risultano neanche così allettanti, almeno se accostati ai biscotti al cioccolato o a quelli ripieni, ma i biscotti al latte con il Bimby sono unici: immancabili nelle vetrine delle pasticcerie e dei forni, sono perfetti per essere gustati a colazione. Sono dedicati agli amanti dei sapori semplici, della tradizione e delle preparazioni casalinghe, come quelle di una volta.
Lapiadina romagnola è stata per me un mistero per molto tempo. Non riuscivo a capire come prepararla, o meglio, ho letto tante di quelle ricette negli anni da non raccapezzarmi più. Non avendo mai assaggiato l’originale piadina romagnola non sapevo quale dovesse essere il risultato finale e quindi mi affidavo alle ricette che di volta in volta provavo. Poi, dopo avere avuto la fortuna di assaggiarne una in loco (a proposito, ma quanto è buona?) quella di Cotto e Mangiato mi è sembrata davvero un’ottima riproduzione dell’originale.
Lapiadina romagnola di Cotto e Mangiato si prepara molto semplicemente, così come la maggior parte delle ricette provenienti dalla fortunata trasmissione diBenedetta Parodi. Basta impastare farina, strutto, sale e lievito con il latte nel quale avremo aggiunto del miele. Questo impasto andrà lavorato con dell’acqua, per quanto riguarda la quantità da utilizzare regolatevi con la consistenza dell’impasto, dovrà risultare un panetto morbido.
Non si tratta del tortano, nè del casatiello, la pizza chiena (pizza ripiena) è tutta un’altra cosa. E’ un piatto tipico della cucina pasquale napoletana che si prepara esattamente il venerdì santo ma che è rigorosamente vietato mangiare lo stesso giorno in quanto contiene salumi, quasi a voler essere una sofferenza.
La pizza chiena differisce sia dal tortano che dal casatiello sia per l’impasto esterno che ricorda appunto quello di una pizza ma con l’aggiunta di strutto (si strutto, ma non storcete il naso, potreste sempre sostituirlo con la stessa quantità di burro a discapito della tradizione ma non del risultato), ed anche per il ripieno interno che contiene ricotta. A dir la verità ho trovato diverse varianti riguardo la ricetta della pizza chiena, probabilmente come per tutte le ricette della cucina regionale, ogni famiglia ha la sua.
Era da tempo immemorabile che mi frullava in testa questa idea: preparare la piadina in casa, sicuramente non una preparazione tipica delle mie parti, ma la voglia era troppa e cercando in rete, precisamente su un forum di cucina, ho trovato una ricetta che si dovrebbe avvicinare molto all’originale. Uso il condizionale perchè non ho mai assaggiato la piadina in loco e quindi non saprei affermarlo con certezza. Fattostà che la persona che ha postato la ricetta ha assicurato che si trattasse della ricetta utilizzata in casa da anni e di conseguenza mi sono subito fidata. Direi, a conti fatti, di aver fatto bene perchè il risultato è stato molto ma molto soddisfacente. La piadina romagnola può essere considerata come da una citazione di Giovanni Pascoli“il cibo nazionale dei romagnoli“.
Non lo sapevo, eppure, documentandomi ieri su questo prodotto da forno, ho scoperto che oltre la verione salata ne esiste una dolce. Sto parlando del casatiello, una ciambella di pasta di pane, con l’aggiunta di uova crude da inserire direttamente nell’impasto prima di metterlo in forno, e con la presenza di molto strutto e pepe: insomma, non propriamente una piatto delicato, almeno nella versione originale, quella che si prepararva tanti e tanti anni fa. Durante gli anni si è un pò “ingentilito” e si usava accompagnarlo con ricotta e fave durante le gite fuori porta di Pasquetta. Ma non confondete il casatiello con il tortano, pur essendo due preparazioni tipiche campane presentano una sostanziale differenza: nel casatiello le uova vanno inserite intere da crude nell’impasto, nel tortano invece vanno messe a pezzi dopo averle rassodate.
Dopo i mitici rigatoni con la pajata, vi presentiamo un’altra ricetta appartenente alla cucina romana, la pajata di vitello arrosto. Scrive Livio Jannattoni nella sua opera “La cucina romana e del Lazio“: la Pagliata (pajata in romanesco) rientra nelle componenti di quel “quinto quarto” del bovino (frattaglie, testa, coda), sulle quali si applicò un tempo “la cucina povera“, fino ad elaborare e realizzare piatti eccellenti, che costituiscono tuttora un vanto della romana gastronomia.
Qualcosa di veramente straordinario, quell’umile punto di partenza e il corrispettivo traguardo, rusticamente trionfale. Tanto da far festa increduli ancora oggi. “Pagliata” (o pajata), si legge ad esempio ne La mia cucina. Grande enciclopedia illustrata, una pubblicazione di sicuro pregio e di ampie dimensioni. “Uno dei più sconcertanti piatti della cucina regionale italiana, in questo caso della romanesca. Si tratta dell’intestino di vitello, contenente ancora il chimo.
La pagliata, che spesso viene preparata dal macellaio, si presenta sotto forma di anelli di budello, legati con il filo, e contenente una crema biancastra, leggermente granulosa. Per chi non è nato a Trastevere o nei Borghi”, si trova costretto ad affermare ancora quel compilatore, “accettare questo cibo, anche se saporito e delicato, costa un certo sforzo: ma una volta superati i pregiudizi, lo si apprezza”.
Nella frittura il grasso ha tre funzioni: scaldandosi a temperatura quasi doppia rispetto all’acqua in ebollizione, crea una caramellizzazione superficiale, cioè la tipica crosta dorata; lubrifica l’alimento impedendogli di attaccare; infine, lo insaporisce in qualche misura. Per quest’ultima ragione, i grassi da frittura differiscono tra loro non solo per le caratteristiche fisiche, ma anche per l’aroma che sviluppano durante la cottura. I grassi di origine vegetale, soprattutto gli oli di oliva, ma anche quelli di arachide, sono i più indicati per la frittura, in base alla loro composizione chimica: infatti, l’olio extravergine di oliva contiene i tocoferoli (vitamina E), che proteggono in parte gli acidi grassi dall’ossidazione.
L’olio di mais e quello di girasole non sono consigliati per la frittura. L’olio di soia e quello di semi vari sono da evitare decisamente. Le margarine e il burro hanno un utilizzo molto limitato, perché ad alte temperature si alterano e producono una sostanza tossica e di odore sgradevole (l’acroleina). Lo strutto in passato era il grasso più utilizzato per la frittura, poi fu abbandonato perché viene in parte assorbito dall’alimento, aumentandone il contenuto in grassi. Oggi è stato rivalutato dai nutrizionisti perché povero di grassi insaturi.
Del maiale, si diceva una volta, non si butta via niente. Ed è vero: dalle setole per fare spazzole al grasso per fare lo strutto tutto l’animale è utilizzabile. Così esistono centinaia di ricette, regionali, per preparare salami, coppe, salsicce, aromatizzate di volta in volta con i profumi del luogo: abbiamo salsicce e coppe all’aglio, al finocchio, al peperoncino, al pistacchio, preparate con carne cotta, marinata o cruda.
Si riscontrano differenze ancora più marcate se si prendono in considerazione le tradizioni gastronomiche di aree geografiche più lontane; in Oriente, ad esempio, l’aggiunta di soia, miele e ananas conferisce alla carne di maiale un sapore particolare che vale la pena di scoprire. In Occidente, nei paesi di tradizione gastronomica tedesca (come l’Alto Adige ed il Trentino in Italia), si usa cucinare il maiale con l’aggiunta di frutta. La ricetta che segue ne è un esempio: Arrosto di maiale con le prugne (Ingredienti per 4 persone)
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