I malloreddus sono uno dei piatti più tipici della tradizione sarda, sempre presenti a tavola durante le occasioni più importanti e soprattutto durante le festività natalizie. E’ un formato di pasta piccolo e rigato, molto poroso, che si presta ad essere accompagnato dai più svariati condimenti. Vero e proprio vanto della cucina sarda, il termine malloreddus deriva dal termine malloru, che nel sud della Sardegna significa toro, quindi malloreddus vuol dire “vitellino”. Il nome malloreddus è stato probabilmente associato a questo formato di pasta dalla particolare forma panciuta, perchè nell’immaginario dei pastori ricordava la forma di un piccolo vitello. Per questa ricetta è d’obbligo usare la salsiccia sarda e il pecorino sardo, che è uno dei prodotti DOP più famosi della regione. L’impasto dei malloreddus si lavora fino ad ottenere una pasta priva di rugosità, alla quale si dà la forma di bastoncino sottile, tagliato a piccoli tocchi che, fatti rotolare sul fondo di un canestro (ciuliri), assumono la forma ovale di conchiglia vuota, caratterizzata sul dorso da rilievi paralleli. Originariamente si impastava la farina di semola con lo zafferano in modo da ottenere una pasta dal colore giallo intenso, oggi lo zafferano si può aggiungere anche solo al sugo.
ricette di natale
Maccheroncini di Campofilone al sugo. Il primo piatto marchigiano del Natale.
Pochi cibi sono così universalmente ben accetti come i maccheroni. E di pochissimi l’etimologia è altrettanto controversa. C’è chi sostiene che il termine “maccherone” derivi dal latino tardo “maccare”, che significa schiacciare. I maccheroncini di Campofilone sono il tipico primo piatto marchigiano del Natale. Vanto del paese di Campofilone in provincia di Ascoli Piceno, che dedica loro una sagra molto nota in tutta Italia, i maccheroncini sono strettissimi fili di pasta sfoglia tirata allo spessore di un velo, tagliati con coltelli molto affilati. Il Maccheroncino di Campofilone, vanta una tradizione antichissima. Già nel 1400 il maccheroncino, considerato un piatto prelibato viene citato in una corrispondenza dell’Abbazia di Campofilone e poi ancora riportato nei quaderni di ricette di alcune case nobili dove si scriveva che questa originale pasta era tanto delicata da sciogliersi in bocca. Il Maccheroncino ha sempre rivestito un’importanza particolare, discostandosi dai piatti di “tutti i giorni”, rappresentando il piatto per eccellenza, simbolo di bravura della padrona di casa e piatto tradizionale nei pranzi di festa. Noti sin dal Quattrocento come “maccheroncini fini fini”, la loro caratteristica è l’elevato numero di uova presente nell’impasto: ben dieci per un chilo di semola di grano duro. La lavorazione richiede abilità, forza e fatica. La pasta, che si cuoce molto rapidamente, resta porosa, caratteristica che insieme all’estrema delicatezza dello spessore la rende ottima sia in brodo sia asciutta (il condimento caratteristico è un ragù di carne di pollo, vitello, maiale aromatizzato con noce moscata e spolverato di pecorino).
Lo strudel. Il dolce tradizionale del Natale in Trentino.
Questa è una ricetta davvero molto conosciuta, tradizionale del Natale. Lo strudel infatti, è un dolce molto noto anche oltre i confini del Trentino e la sua ricetta è, come spesso accade per i piatti tipici, molto semplice. Fu infatti in passato un dolce molto povero costituito da un impasto di farina e uova guarnito da mele e zucchero. Con il passare degli anni la ricetta dello strudel si è arricchita di nuove spezie e sapori, ma conserva ancora il suo gusto originale, nonostante l’aggiunta di qualche piccola variante. Lo strudel è un dolce tipico del Trentino Alto Adige, ma le sue origini sono Turche. I Turchi, che dominarono intorno al XVII secolo l’Ungheria, preparavano un dolce di mele simile che si chiamava baklava. Nei quasi duecento anni di dominazione turca l’Ungheria assorbì oltre alla religione musulmana tutta una serie di ricette e tradizioni culinarie proprio della Turchia. Fu proprio durante questo scambio di cultura gastronomica tra Ungheria e Turchia che lo strudel apparve e poté farsi apprezzare nel suo delicato e gustoso gusto. Il dolce turco Baclava fu però leggermente modificato e agli ingredienti fu aggiunto uno che oggi è determinante: le mele. Questa ricetta fu variata e trasformata dagli ungheresi nell’attuale strudel che presto prese piede in Austria che, a sua volta, fece conoscere anche in Italia questo delizioso dolce. Il Trentino Alto Adige è ormai il depositario di questa preparazione, che qui ha avuto notevole successo anche grazie alle numerose coltivazioni di mele presenti sul suo territorio, che sono l’ingrediente fondamentale del ripieno di questo rotolo di pasta, assieme a uvetta, pinoli e cannella.
Crispelle di riso al miele. Un dolce siciliano delle feste.
I dolci siciliani sono davvero squisiti. Sarà perchè essendo siciliana non sono molto obiettiva, ma io li adoro. La Sicilia vanta una tradizione in campo dolciario che non teme confronti con nessuna delle altre regioni italiane. Coloratissimi, allegri, profumati, i dolci non sono mai mancati agli appuntamenti con le ricorrenze e le festività.
Il Natale in particolare, è l’occasione in cui le pasticcerie siciliane sfornano dolci di tutti i tipi, dai classici cannoli, alle cassate siciliane. I filoni che conducono all’attuale pasticceria isolana sono tre. Il primo è il mondo contadino, dove le donne di casa preparavano alacremente i dolci per ogni cerimonia mentre il secondo filone è legato ai monasteri e ai conventi. Molti ordini religiosi, infatti, vivevano di carità e facevano dolci per guadagnare qualcosa. Quella che vi propongo oggi è una ricetta tipica del periodo invernale, si tratta delle crispelle di riso al miele, dette anche crispelle “uso Benedettini”, tipici dolci fritti catanesi a base di riso, che venivano un tempo consumati in occasione della festività di San Giuseppe. Sembra che a realizzare questo dolce siano state per prime le suore benedettine del convento di Catania nel XVI secolo, come risulta da antichi testi di cronisti catanesi. Oggi le crispelle si mangiano un po’ durante tutto l’inverno, in particolare in occasione delle festività. La ricetta è un po’ articolata ma non complessa, in fondo è un dolce nato per essere fatto in casa, con ingredienti semplicissimi da reperire e richiede due giorni di preparazione perchè il riso deve riposare una notte.
Pranzo di Natale 2010: il cappon magro genovese
Il cappon magro è il trionfo della cucina ligure, un trionfo di magro fatto di verdure di tanti tipi, pesci, erbe aromatiche ed olio. Il nome di questo piatto racchiude l’essenza della cucina povera ligure, infatti a Natale il cappone (cioè il gallo castrato) veniva rimpiazzato da questa stupenda creazione fatta con i “poveri” prodotti della terra e del mare ligure. Il Cappon Magro è oggi uno dei piatti natalizi più pregiati della tradizione genovese e ligure. Le sue origini sono piene di mistero e fascino perchè non sono storicamente certe. Pare però che la sua origine sia quella di piatto di recupero, probabilmente inventato dai marinai delle “galere”, fatto con le gallette del marinaio, avanzi di verdure e di pesce cappone, il tutto bagnato dell’aceto, conservante naturale. In età barocca il piatto fu probabilmente ripreso dai cuochi delle corti nobiliari dell’oligarchia genovese, arricchito con nuovi ingredienti (aragoste, gamberoni, mosciame di tonno) e confezionato a forma di pesce, secondo un ben calcolato gioco di colori davvero molto suggestivo. Essendo una preparazione, un po’ complicata e molto lunga, oggi il cappon magro nelle famiglie genovesi si fa per lo più nelle feste natalizie e nelle grandi occasioni. La preparazione del piatto è complessa, la lista degli ingredienti lunghissima e se vi capitasse di esaurire tutte le padelle e le insalatiere che avete in casa, non disperate. E’ la norma! Per rendere tutto più divertente potreste preparare questa pietanza insieme a qualche amica. Il lavoro sarà più leggero e sicuramente molto più divertente. Il cappon magro va irrorato con la salsa verde genovese, un condimento tipico ligure a base di prezzemolo, capperi e acciughe.
Il baccalà fritto. Una ricetta laziale per la cena della vigilia di Natale.
Il baccalà è un piatto immancabile alla Vigilia di Natale, di cui ne è praticamente protagonista. Lo si trova di rigore sulle tavole laziali la vigilia di Natale, così come accade nelle regioni limitrofe, Abruzzo, Campania e Molise. La cucina laziale è rappresentata in gran parte da quella romana nella quale sono convogliate tutte le specialità delle tradizioni culinarie della regione, la cucina romana infatti può essere considerata un ricco riassunto di una gastronomia varia. Una cucina che a Roma ha difeso la propria genuinità dall’ingerenza delle mode e del turismo; a Roma infatti si rispetta il passato, lo si tiene in vita, seppure arricchendolo e personalizzandolo, perpetuando la schiettezza e la gustosa semplicità di una cucina di estrazione popolare. Il baccalà fritto, piatto o per meglio dire specialità della cucina romana, è assolutamente squisito e semplice da preparare. La sua facile preparazione avviene semplicemente dissalando il baccalà per almeno 2 giorni, per poi asciugarlo, infarinarlo e friggerlo in abbondante olio di oliva. Se non volete dissalarlo, potete acquistarlo già bagnato e tagliato. E’ un piatto originariamente povero, molto semplice ma estremamente gustoso e saporito.
Zuppa alla Valpellinentze, la minestra valdostana del Natale.
La Valle d’Aosta è una delle regioni più particolari della nostra penisola. E’ una terra di pascoli , verdi boschi e valli che rendono il territorio affascinante e magico. Le caratteristiche della tradizione gastronomica valligiana sono determinate dall’ aspetto morfologico di questa terra. La splendida e per lungo tempo inaccessibile catena alpina ha isolato per secoli la Valle, provocando lo sviluppo di un cucina basata quasi esclusivamente su prodotti locali, che sono alla base anche delle ricette tradizionali del periodo natalizio.
La gastronomia di questo territorio è molto legata alle varie vicende storiche e i prodotti della cucina valdostana sono tanti e molto vari, gustosissimi, conservati nei secoli con leggere modifiche dovute al miglioramento delle condizioni socioeconomiche; cibi caratterizzati da antichi prodotti locali fra cui campeggiano la fontina, il lardo, il sanato, le castagne e la polenta che tutt’oggi viene preparata “grassa”, ovvero arricchita con burro e formaggio. La zuppa alla Valpellinentze è il piatto povero della tradizione gastronomica valdostana, preparato in occasione del Natale. Il suo nome ha origine dal luogo di probabile provenienza della ricetta, cioè la Valpelline. Gli ingredienti di base di questa zuppa sono poverissimi, pane raffermo, cavolo verza, brodo di carne, fontina e burro. La preparazione è veloce e il risultato è davvero gustoso per un piatto perfetto a Natale, quando il freddo si fa sentire e la neve ha imbiancato i tetti delle case.
I panzerotti pugliesi, un antipasto sfizioso per il Natale 2010
La Puglia è una terra davvero ricca di sapori, un territorio dove le tradizioni gastronomiche sono radicate ed essendo il Natale il periodo dell’anno in cui si concentrano le maggiori festività, è in questi giorni che in Puglia la gente si prepara a vivere in pieno le tradizioni che gli sono state tramandate e fra queste, occupano un posto di rilievo quelle culinarie. Esiste nella memoria di ognuno un “calendario della cucina”, uno scadenzario, quasi un’agenda, sulla quale sono idealmente segnati piatti tipici a seconda della ricorrenza. Si tratta di pietanze che, nella tradizione gastronomica delle comunità civiche di appartenenza, costituiscono il “distinguo”, l’identità, il codice genetico. La tradizione vuole che i panzerotti si preparino per le feste di Natale o la notte di capodanno. Però in Puglia si preparano in ogni occasione, si trovano in ogni buffet e si servono anche come componente di un ricco antipasto o mignon con l’aperitivo. I panzerotti vengono spesso confusi con i calzoni: ma a Brindisi la differenza è precisa. Il panzerotto, detto anche “fritta” è, appunto, fritto; mentre il calzone è l’equivalente del panzerotto, ma cotto al forno. In entrambi i casi si usa, comunque, la stessa pasta utilizzata per la pizza. Anche se la preparazione può risultare difficoltosa, vi assicuro che non è così. Il ripieno tradizionale è a base di mozzarella, pomodoro e olive bianche, ma ovviamente ne esistono diverse varianti e ognuno di voi li può personalizzare a seconda dei gusti. Provare per credere! Unico avvertimento: preparatene sempre tanti perché non sono mai abbastanza e, se avanzano, il giorno dopo sono ottimi a pranzo o merenda.
Risotto alla certosina. Il primo della vigilia di Natale in Lombardia
Il risotto è uno dei piatti più tradizionali dell’Italia settentrionale, in particolare la Lombardia è la patria dei risotti. Dal risotto alla milanese al risotto al salto, tutti noi abbiamo sempre gustato questa specialità della cucina lombarda. E’ un piatto molto semplice da preparare e allo stesso tempo molto gustoso, ottimo soprattutto nelle fredde sere invernali. Le origini dei risotti lombardi sono sempre abbastanza povere e con ingredienti modesti, come la zucca rossa, un ortaggio che veniva coltivato e consumato prevalentemente dai contadini. Il risotto alla certosina fa parte della tradizione gastronomica lombarda che vuole che si prepari soprattutto la sera della vigilia di Natale. Le sue origini non sono per niente povere. Il suo nome si riferisce alla Certosa, naturalmente quella di Pavia, e la tradizione attribuisce l’elaborazione di questo piatto ai monaci, obbligati dalla Regola a mangiare sempre di magro. Leggende ed amenità a parte, è documentato che la “cottura a risotto” è una tecnica tutta italiana. Siamo stati quindi noi italiani, con la creatività che il mondo ci riconosce, ad inventare e a rendere famoso il risotto. Certo è che nel 1791 il risotto in Piemonte era già un piatto tradizionale, anche se soltanto del bel mondo: i Savoia erano soliti farlo servire a mezzanotte, durante i ricevimenti che davano nei loro bei palazzi torinesi.
Dolce Natale in Sardegna. Le seadas.
Quello di oggi è un dolce davvero particolare, tradizionale del Natale in Sardegna. Si tratta delle seadas, una sfoglia dolce sottile, con un cuore di formaggio e ricoperta di zucchero o miele. Vengono prodotte ormai in tutta l’isola, ma quelle artigianali si continuano a fare solo nelle zone con economia pastorale. Esistono varie interpretazioni della ricetta base, e sul web ne potete trovare anche delle versioni molto semplificate, ma le tipologie sono sostanzialmente due: con formaggio cotto e con formaggio crudo (quest’ultima detta “a sa mandrona”, ossia “alla poltrona”). Essendo un prodotto a base di formaggio, la loro origine è da ricercare nelle zone della Sardegna tradizionalmente legate alla pastorizia, da Barbagia, Ogliastra, Logudoro e Gallura. La seada è attualmente considerata un dolce anche se in origine rientrava tra le pietanze principali tanto da poter sostituire un secondo. La preparazione di questo dolce è abbastanza complicata, richiede tempo, molta attenzione e gli ingredienti giusti. Gli ingredienti principali sono molto semplici: semola, formaggio fresco acido (in gallurese, “Pischedda”), scorza di limone grattugiata e miele. Nella ricetta originale il formaggio va fatto inacidire, lasciandolo a temperatura ambiente. E’ acido al punto giusto quando, riscaldato, fila. Per la variante con formaggio cotto, il formaggio va tagliato a scaglie e squagliato in un tegamino, con giusto un pochino di latte perché non si attacchi, e quindi quando è squagliato, gli si aggiunge la scorza di limone grattugiata. Il formaggio fuso va steso su una spianatoia e non appena si raffredda si taglia a cerchietti di circa 12-15 cm di diametro. Si lavora la sfoglia (semola sarda, acqua, sale e strutto) ben fine. Sulla sfoglia si pongono i dischi di formaggio, li si ricopre con un’altra sfoglia e si fanno dei “ravioloni” tondi, eliminando bene l’aria dall’interno della seada.
La torta di nocciole con crema allo zabaione, il dolce piemontese del Natale
Come ogni fine settimana oggi parliamo dei dolci del Natale. Durante le festività natalizie mangiare qualche dolce in più è normale e accanto al classico pandoro o al panettone, che anche se tipici,sono ormai un po’ scontati, a tavola si possono servire dei dolci più particolari, ripescati dalla tradizione, per stupire i commensali a fine pasto. Quella di oggi è la ricetta della torta di nocciole del Piemonte accompagnata da una bella cucchiaiata di zabaione, preferibilmente al Moscato d’Asti. La torta di nocciole che vediamo oggi è una ricetta che fa parte dell’antica tradizione della cucina piemontese, è molto semplice da preparare e non avrete alcuna difficoltà. Il punto cruciale di questa ricetta sta nel tostare le nocciole che non devon o assolutamente bruciarsi quindi dovete stare attenti e non dimenticarle in forno, appena sentite la casa inondarsi di un profumino delizioso andate subito nei pressi nel forno perchè le nocciole sono quasi pronte. Provate anche voi questa ricetta e mi raccomando, migliori sono le nocciole, migliore sarà la torta! La nocciola del Piemonte è un prodotto IGP di cui conosciamo bene le eccellenti caratteristiche. Se siete piemontesi per voi sarà più facile reperire le cosiddette “tonde delle Langhe”, altrimenti potete utilizzare le nocciole che vi sarà più semplice reperire. Io sono siciliana e le mie torte contengono sempre le nocciole dell’Etna. Questa torta si serve tradizionalmente accompagnata dallo zabaione, che è una delle creme più classiche e apprezzate e che viene preparato sbattendo a lungo tuorli d’uovo e zucchero, e poi viene arricchito generalmente con Moscato d’Asti e cotto a bagnomaria fino a quando non diventa denso e spumoso. La ricetta dello zabaione la trovate in fondo.
Baccalà con i peperoni cruschi, la specialità lucana del Natale
Il baccalà con i peperoni cruschi è una ricetta tradizionale della Basilicata, perfetta per essere preparata al tempo della vigilia o del pranzo di Natale. Si tratta di una preparazione molto saporita caratterizzata dal il contrasto tra il croccante dei peperoni cruschi (si tratta di peperoni dolci seccati al sole, prodotto tipico lucano) ed il morbido e sapido del baccala’, ed è anche cromaticamente molto invitante, con il forte contrasto tra il rosso ed il bianco. Il baccalà è il protagonista indiscusso delle pietanze di pesce della cucina lucana. Costoso ma di facile conservazione, il baccalà rappresentava il piatto speciale per le feste o le particolari ricorrenze. I peperoni secchi invece, detti “cruschi”, sono una delle specialità della Basilicata, e sono normali peperoni rossi essiccati. I migliori si trovano nella zona di Senise dove vengono raccolti, infilati a collana con un filo di cotone doppio chiamato ’nzerta e lasciati asciugare al sole. I peperoni “cruschi” conferiscono ai piatti un sapore molto particolare, dal retrogusto amarognolo, che sorprende chi li gusta per la prima volta. Oltre che secchi questi peperoni si possono consumare freschi. Mentre, ridotti in polvere, sono utilizzati per insaporire alcuni tipi di formaggi e salumi di produzione locale. Questa ricetta è molto conosciuta, anche il Cucchiaio d’Argento la cita tra le ricette regionali. E’ semplicissima e veloce, ma gustosissima. L’unica piccola difficoltà sta nella frittura dei peperoni cruschi che devono diventare colorati e croccanti ma non devono assolutamente bruciarsi. Purtroppo però per ottenere questo risultato c’è bisogno di un pizzico di attenzione in più.
Il friccò all’eugubina, un piatto tradizionale del Natale in Umbria
Sarà perchè in Umbria nacque San Francesco (che ricordiamo è l’inventore del Presepe nella forma che noi tutti conosciamo), sarà perchè qui da sempre si vive una spiritualità diffusa, sarà per l’aria che si respira, ad ogni modo è difficile trovare un’altra regione in cui sia tanto sentita la tradizione del Natale. Il Pranzo di Natale in particolare, per i veri tradizionalisti è uno dei momenti più attesi dell’anno. Infatti in questa occasione si riuniscono le famiglie e si cucina a volte anche per giorni, per presentare in tavola i piatti della tradizione, che a volte si mescolano dando vita in ogni casa a un menu particolare, straordinario, composto da varie portate. Molte delle portate che si cucinano a Natale sono piatti tradizionali delle regioni italiane, che in occasione del Natale arrivano sulle tavole a testimoniare che le buone abitudini a tavola non sono state dimenticate. La ricetta di oggi proviene da Gubbio ed è un piatto tipico della tradizione culinaria di questa città, che spesso viene proposto come secondo piatto durante il pranzo di Natale. Si tratta di una preparazone di carne o misto di carni cotte in tegame di coccio, tipica di Gubbio, che somiglia molto ad un misto di carni alla cacciatora. Si possono usare il pollo, il coniglio, l’anatra, l’agnello, il tacchino, la faraona, il manzo. Si serve con la crescia cotta sul panaro o con la torta al Testo.
Dal Piemonte gli agnolotti al plin, il primo del Natale 2010
Gli agnolotti piemontesi sono una specialità di pasta ripiena tradizionale del Piemonte, e in particolare, della zona del Monferrato, nelle province di Alessandria e Asti. Esistono diverse varianti degli agnolotti, tra cui gli agnolotti pavesi, che si differenziano per il ripieno, che è a base di arrosto. L’origine del nome è incerta: la tradizione popolare identifica in un cuoco monferrino di nome Angiolino, detto Angelot la formulazione della ricetta; in seguito la specialità di Angelot sarebbe diventata l’attuale Agnolotto. La forma tradizionale è quadrata, con il ripieno racchiuso da due sfoglie di pasta all’uovo. La caratteristica principale dell’agnolotto piemontese rispetto alle altre specialità di pasta ripiena del resto d’Italia è l’utilizzo di carne arrosto per il ripieno. Caratteristici della zona delle Langhe e del Monferrato sono gli agnolotti al plin, che sono di dimensioni minuscole e dalla caratteristica forma a barchetta con ripieno di sola carne.
Naturalmente, in ogni zona la ricetta degli agnolotti è diversa e il ripieno viene preparato in modi differenti: nel Monferrato e nel Torinese il ripieno è costituito solamente da carni di maiale e vitello arrosto con l’aggiunta di cervella, nel basso Canavese si aggiungono anche la verza e la salsiccia, nel Tortonese e nell’Alessandrino infine, il ripieno è costituito da uno stracotto di carne bovina al vino e gli agnolotti saranno poi conditi con il sugo scaturito dalla preparazione dello stracotto. Anticamente gli agnolotti venivano conditi con un sugo a base di carne e verdure mentre al giorno d’oggi si preferisce un condimento più semplice a base di burro e salvia oppure di ragù. C’è anche chi li gusta conditi con la Barbera.