Foie Gras/3, la cottura

La cottura del Foie Gras: Abbiamo introdotto la preparazione del foie gras in una prima parte, e lasciato insaporire il fegato nel Porto una giornata in frigo, vediamo finalmente come cuocerlo e servirlo. Dobbiamo dunque riportarlo a temperatura ambiente tirandolo fuori un’ora prima di passarlo in forno. Scaldiamo il forno a 85° gradi centigradi. Non è molto, ma se mettete il forno più caldo vi troverete un ammasso di grasso e niente fegato.
Inforniamo la pirofila scoperta per circa una mezz’ora ma siccome ogni forno è diverso, bisogna veramente controllare la cottura poco per volta. Quando il fegato comincia a ricoprirsi del suo grasso liquefatto è il momento di controllarne la cottura. Abbiamo uno stecchino di legno col quale infilziamo il centro del fegato: se esce un succo rosato il fegato è ancora crudo. Se fuoriesce un succo incolore, il fegato è rosè (a molti piace cosi); se invece non esce più succo, ma solo grasso, il fegato è ben cotto e va subito tolto dal forno. Lo copriamo di nuovo e lasciamo raffreddare lentamente. Quando sarà a temperatura ambiente lo trasferiamo nuovamente in frigo dove soggiornerà un minimo di 5 giorni ed un massimo di 10 giorni prima di servirlo in tavola.

Le frattaglie: tra ritorno alla tradizione e ricerca di emozioni gastronomiche

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Il paradosso è evidente. Chi impazzisce per il fois gras magari non sopporta la trippa, la considera cibo del popolo e poco raffinato. Si dimentica che il punto di partenza di uno dei cibi più costosi al mondo è il fegato d’oca, una “frattaglie” quanto il rognone o le cervella. Niente di strano, le frattaglie godono da sempre di pessima reputazione in cucina: si dice siano poco sane, troppo grasse, indigeste e via dicendo. In realtà si conoscono poco e non sono sempre facili da proporre. Ma sorprendono per versatilità e gusto. Mai spariti dal repertorio della cucina povera, stanno tornando di moda vuoi per la ricerca di nuove emozioni gastronomiche vuoi per il ritorno al passato.

Il fatto che si cimentino sempre di più i bravi chef italiani, da Davide Oldani (grandi i suoi piatti a base di trippa) ad Andrea Berton (specialista nel rognone) e a Davide Scabin sta nobilitando tutto il “quinto quarto“: termine che indica tutte le parti che non derivano dai quarti classici dell’ animale. Un mondo di sapori dalle varie gradazioni e colori ricchissimo e affascinante, che parte dalle cervella, eccezionali se fritte, e arriva ai piedini, che sono buonissimi in gelatina. Tanta varietà consente la preparazione di decine e decine di ricette.

Un interessante volume, uscito recentemente, “Il libro delle frattaglie” ne ha recensite circa 350 fra quelle tradizionali e quelle d’autore. A firmarlo, una coppia originale formata dalla scrittrice Roberta Schira, appassionata gourmet, e Franco Cazzamali, considerato il re dei macellai padani. «La nostra è una provocazione gastronomica – spiega la Schira – non è giusto vedere le frattaglie poco più di uno scarto alimentare mentre in realtà sono un cibo sano, pulito e buonissimo».

Patè fai da te!

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Il patè ha origini francesi come si può immaginare dal nome, che in italiano sarebbe “pasticcio“, ma lo conoscevano ed apprezzavano già anche i Romani. Nell’antichità come anche nel Medio Evo il patè non cosituiva una ricetta “raffinata“; era anzi usanza popolare prepararlo. Può essere preparato con la carne (i più comuni sono di selvaggina), ma anche con pesce o verdure. Il più conosciuto in assoluto è senza dubbio il patè di foie gras, ma è anche il più criticato.

Il patè di fegato d’oca è ottenuto infatti alimentando forzatamente i volatili con un tubo metallico affinchè mangino più del necessario ed ingrassino bene bene il proprio fegato. L’ingestione forzata provoca il rigonfiamento innaturale del fegato, che arriva ad essere anche dieci volte più grosso di quello di un’oca normale.

Se non siete vegetariani e mangiate il patè, ma non potete e non volete accettare che degli animali subiscano un tale trattamento, la soluzione è una sola: patè fai da te!

Involtini di storione al profumo di mare

Il piacere della buona tavola è stato fin dai tempi antichi un momento sociale di grande valore. L’aristocrazia romana serviva dei banchetti memorabili per affermarsi e ribadire la propria appartenenza al ceto elevato. I punti fondamentali erano non deludere le aspettative dei commensali e stupire gli stessi, allestendo un menù ricco di pietanze elaborate, inpreziosito da cibi esotici e alimenti introvabili. Anche le corti rinascimentali avevano tra la propria servitù una figura preposta, il Maestro delle Cerimonie che aveva l’onere di organizzare e supervisionare il perfetto svolgimento dell’evento. Ai giorni nostri negli ambienti raffinati ed esclusivi proporre alcuni alimenti specifici rappresenta uno status symbol. Non è comune, trovare sulle nostre tavole, cibi come lo storione, il fois gras, le ostriche, daltronde la reperibilità non sempre immediata e prezzi non proprio contenuti ne fanno dei cibi da destinare alle grandi occasioni.