Diciamoci la verità: impastare e stare ai fornelli, soprattutto nel caso di chi ami cucinare, piace a tutti. Ma d’altro canto è anche vero che a volte un aiuto in cucina è bene accetto. Soprattutto nel caso di una preparazione impegnativa come può essere quella della colomba pasquale, l’aiuto del bimby potrebbe essere fondamentale e ridurre notevolmente lo sforzo in cucina.
Fermo restando che quì su ginger in passato abbiamo parlato di diverse varianti della colomba fatta in casa impastata a mano, oggi vorrei proporvi la ricetta della colomba pasquale con il bimby, l’insostituibile robot da cucina. Con l’utilizzo di questo strumento l’impegno in cucina si riduce al minimo indispensabile, senza che però il risultato ne risenta, anzi! Tra gli ingredienti della colomba sono previsti i canditi e l’uvetta, siete liberi di ometterli o sostituirli con delle golose gocce di cioccolato nel caso non siano di vostro gradimento.
Non è la prima volta che parliamo di pastiera quì su Ginger, ma in occasione della prossima Pasqua è un dovere rispolverare un dolce della tradizione napoletana che non può mancare sulle tavole pasquali. La pastiera napoletana è forse il dolce più rappresentativo di questa regione, ed anche uno dei più conosciuti ed apprezzati. La sua preparazione è abbastanza lunga, anche se i tempi si riducono notevolmente se utilizzerete il grano già cotto.
La pastiera di grano altro non è che una crostata con un ricco ripieno a base di ricotta, canditi e uova, il tutto aromatizzato con l’immancabile acqua di fiori d’arancio che rende questo dolce pasquale inconfondibilmente profumato. La pastiera di grano si prepara a partire dalla pasta frolla, ovvero si crea con la farina setacciata una fontana e si versa al centro il burro, lo zucchero e le uova, si amalgama bene e velocemente il tutto e si conserva l’impasto in frigo per circa 30 minuti.
Un altro giorno di festa ci aspetta oggi. E’ il 6 gennaio e la befana ha portato questa notte i regali anche ai più cattivi. E’ ancora tempo però di preparare dei dolci non solo per i bambini ma anche per i grandi. La dieta può aspettare. Oggi prepareremo un buonissimo dolce: il panettone alla frutta. Sicuramente in casa ne avremo uno. Siamo stufi di mangiarlo in modo semplice? Allora trasformiamolo in dolce ancora più nutriente. Come? Aggiungendo della frutta e se magari ne abbiamo voglia anche altro. Va di moda “riciclare” il panettone e oggi vi daremo un consiglio originale per farlo! In poche mosse avrete preparato un dolce da portare sulla vostra tavola imbandita. Una ricetta facile da preparare e veloce.
Se parliamo di tradizioni natalizie, il dolce che vi propongo oggi ne è il simbolo. Originario della Liguria ma apprezzato in tutta l’Italia, il Pandolce genovese fa parte di quella ricca schiera dei pani arricchiti,tradizionali delle feste in molte regioni italiane. Leggenda vuole che sia stato il doge Andrea Doria, nel ‘500, a bandire un concorso tra i maestri pasticceri di Genova per la creazione di un dolce rappresentativo della ricchezza cittadina. Questo dessert doveva essere coerente con l’anima marinara genovese: nutriente ma di lunga conservazione, da tenere in cambusa durante i lunghi viaggi per mare. Nacque così il pandolce, una sorta di focaccia di pasta lievitata farcita. Indipendentemente dall’attendibilità storica del fatto, il pandolce si collocò saldamente nella tradizione del Natale ligure, tanto da diventare il protagonista di un rito propiziatorio di salute, fortuna, soldi per il nuovo anno. E ancora oggi la tradizione esige che il più giovane estragga il rametto d’ulivo che si colloca al centro e lo conservi come simbolo di buon auspicio. Il più anziano a tavola invece, taglia le porzioni e ne conserva due fette: una per il viandante o il povero che potrebbe bussare alla porta e l’altra per San Biagio (3 febbraio), protettore della gola. Tutto viene innaffiato con vino di Coronata e lo Sciacchetrà che accompagna i dolci.
Prepararlo non è difficile, eccetto per il fatto che bisogna preparare una parte dell’impasto il giorno prima e poi tenerlo in un luogo caldo almeno per 24 ore, in modo che la pasta possa lievitare al massimo.
Gli struffoli sono i dolci più napoletani che ci siano. A pari merito con la sfogliatella e con la celebre pastiera e la loro fama di bontà si è diffusa un po’ in tutta l’Italia centro meridionale. Si trovano in Campania, in Abruzzo e persino a Palermo, dove si cucinano con qualche piccola ma non sostanziale variante. La tradizione vuole che gli struffoli si preparino durante le festività natalizie. Per chi ancora non avesse mai sentito parlare degli struffoli, basti dire che sono delle piccole palline di pasta dolce, fritte e poi immerse nel miele e decorate con confettini colorati e frutta candita. Gli struffoli, come tutte le ricette della tradizione regionale, nella loro sostanziale immutabilità presentano molte varianti: regionali, familiari e personali. Quindi anche se gli ingredienti sono esattamente gli stessi, in ogni casa (o pasticceria in cui li acquisterete) si cucinano in un modo diverso. E ciascuno ritiene che i “propri” struffoli siano quelli autentici, quelli della tradizione, tramandati da una nonna, una mamma o ancora meglio da una zia monaca. Infatti a Napoli un tempo, gli struffoli venivano preparati nei conventi dalle suore dei vari ordini, e portati in dono a Natale alle famiglie nobili che si erano distinte per atti di carità. Come accade a tutte le ricette ormai abbondantemente codificate, che sembrano non presentare punti oscuri, gli struffoli sono insidiosi: nascondono infatti molti segreti, spesso custoditi gelosamente. Uno di questi sta nel miele che dev’essere abbondante. Senza di lui, questo dolce non può definirsi veramente tale.
Faltona di Talla, paese in provincia di Arezzo, è una bella scoperta: bellissimo borgo medievale, rinomato per il Castello che attira ogni anno turisti e curiosi da ogni dove, ad un tiro di schioppo dalla città, di cui non ha ancora assimilato ritmi e frenesia. Qui, sebbene da un comune dell’entroterra toscano ci si aspetti ben altre specialità culinarie, ogni anno si svolge la tradizionale Sagra della polenta dolce, questa volta programmata per il prossimo 8 dicembre.
La cassata siciliana è un dolce la cui origine viene fatta risalire all’epoca della dominazione araba. Il suo nome deriva dall’arabo “Quas’at“, cioè “ciotola rotonda“. E’ nota in tutto il mondo, come la Regina della pasticceria Siciliana. Un vero capolavoro di sapori, aromi e colori le cui festose decorazioni riconducono alla policromia degli, altrettanto celebri, carretti siciliani.
Si racconta che intorno all’anno mille, al culmine della dominazione musulmana, nel palazzo dell’Emiro, alla Kalsa di Palermo, i cuochi di corte si sbizzarrissero ad unire sapori e colori e che dal miscuglio di vari ingredienti propri della cucina saracena sia nata la Cassata alla Siciliana. Suore dei monasteri e cuochi dei nobili casati sono stati per molti secoli gli unici depositari dei segreti della cassata siciliana. Da dolce tipico delle feste pasquali e prettamente palermitano, definito addirittura “indispensabile” in un documento approvato durante il Sinodo di Mazara del 1575, la cassata siciliana è man mano divenuta un dolce tipico della pasticceria siciliana. Ve ne sono moltissime versioni e quella che vi presento è una delle tante! Cassata alla siciliana (ingredienti per 6 persone)
E’ il dolce per eccellenza, una prelibatezza che non conosce vie di mezzo: o la si odia o la si ama appassionatamente. E’ sicuramente impegnativa, sia per la preparazione che per il consumo, vista la ricchezza degli ingredienti e l’elevatissimo apporto calorico.
Si può dire che certamente la cassata è il dolce che più di tutti racchiude in sé il patrimonio gastronomico apportato da dominazioni e da culture diverse da quella italiana. La ricetta della cassata è stata tramandata attraverso i secoli raccogliendo via via nuovi ingredienti, applicazioni di nuovi metodi, usi e esperienze diverse; qualunque civiltà sia passata in Sicilia ha lasciato tracce di sè in questo dolce meraviglioso e opulento.
L’origine del nome è dato dall’arabo “quas’at”, cioè “ciotola”, il recipiente rotondo nel quale veniva cotta la Cassata, ma potrebbe anche derivare dal latino “caseum”, formaggio, di cui è composto il ripieno.
Il primo a cimentarsi in questa preparazione è stato, a Palermo nell’anno 1000, nel periodo della dominazione araba, il cuoco dell’Emiro della Kalsa. La cucina saracena usava ingredienti fino ad allora sconosciuti nel territorio siciliano: la canna da zucchero, il limone, l’arancia amara, il mandarino; fu facile unirli alla ricotta, che veniva prodotta in Sicilia già dai tempi della Preistoria, assieme alle spezie e agli aromi, sempre portati dagli Arabi. In principio fu solo un involucro cotto al forno di pasta frolla ripiena di ricotta, zucchero, agrumi e aromi , e questa versione essenziale esiste ancora e si chiama , appunto, Cassata al forno. Dopo gli Arabi arrivarono i Normanni, e fecero conoscere la lavorazione della Pasta reale, o pasta di mandorle, e allora questa pasta sostituì, arricchita di altri aromi e coloranti naturali, l’involucro di pasta frolla usato fino ad allora, e la Cassata divenne definitivamente una preparazione a freddo.
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