“Vino, insalata e…call center”

“No signora, non c’è nessun ristorante in via della Consolata”
“…”
“Non lo so signora, ma quanto tempo fa c’è stata lei?”
“….”
“E signora dieci anni fa, forse lo hanno chiuso”
“…”
“No mi dispiace, io non posso controllare gli esercizi chiusi e aperti negli ultimi dieci anni”
“…”
“Arrivederci, prego, si figuri”

Ecco questa era l’ultima, almeno spero, aspetto un minuto e se non squilla il telefono stacco tutto e me ne torno a casa.
Servizio clienti del comune cittadino, un call-center per sapere tutto su negozi, eventi, manifestazioni, ristoranti, fiere, locali notturni e quant’altro, a 250 euro al mese, turni da otto ore al giorno, e soprattutto ventiquattro ore su ventiquattro. La prima volta che ho fatto il turno di notte pensavo mi sarei addormentato, mi chiedevo, chi vuoi che chiami dalle undici di sera alle sette del mattino, e invece il telefono squillava con una regolarità sconcertante, ogni mezz’ora. E’ il turno peggiore, per un’intera settimana passi la notte sveglio, anzi appisolandoti di continuo, per poi ridestarti subito e aiutare magari un ragazzo a trovare un locale aperto alle quattro di notte di un mercoledì qualunque. Che poi, mio caro giovanotto, ma se puoi fare le quattro di mattina di mercoledì vuol dire che il giorno dopo non devi lavorare, studiare, o comunque fare qualcosa di importante. Una volta anche io ero così.

Pelo le carote e le metto a bollire. Pelo le patate e le metto a bollire. Sono da solo come sempre, bastano quattro o cinque carote e tre patate di quelle belle grosse. Due uova sode che ho preparato stamattina. Cinque o sei pomodorini pachini. Quando tutto è pronto mi preparo la mia bella scodellina da gustare davanti alla tv. Taglio le carote a rondelle e i pachini a metà, schiaccio le patate con la forchetta, taglio le uova sode, divise a metà, in piccole parti, mescolo tutto, sale, olio, peperoncino. Pronto.
Io mangio solo insalate, calde e fredde, è la mia attitudine mentale del momento.
Mastico sapori semplici, come la vita schematica che faccio ormai da sei mesi.
Ingoio bocconi troppo grossi, come quelli che quotidianamente butto giù per vivere con quei 250 euro più gli stessi 250 euro che mi passano i miei per l’affitto. Duecentocinquanta euro al mese, una stanza con uso bagno e cucina; duecentocinquanta euro al mese, abbonamento dell’autobus, spesa, qualche birra, se ci sono imprevisti non esco e mangio di meno.
Lo stomaco digerisce parti scomposte di cibi che per quanto leggeri mi portano acidità. Sarebbe tutto così semplice, altri tre anni così e poi divento impiegato. Mia madre dice che sono in gamba, diventerei dirigente nel giro di dieci anni.
Ho trent’anni, sono un perito agrario con la passione dei vigneti e del vino. Sono in lizza da sei mesi per l’inserimento in un’azienda vinicola che sta per comprare altri terreni e ha bisogno di giovani teste.
Tra dieci anni voglio avere un mio vigneto, e magari lavorare per un’azienda vinicola.
Tra dieci anni potrei essere il dirigente di un’azienda privata che offre servizi di call-center.

“Allora, da dove si trova lei, mi segua, deve proseguire cento metri e poi voltare a destra, dopo circa duecento metri a sinistra”
“…”
“ Si se vuole sto con lei al telefono”
“…”

Sono uno stupido, superato un certo numero di minuti è una perdita di tempo stare al telefono, quei dieci centesimi di extra per ogni chiamata me li danno solo oltre le cento chiamate settimanali e per raggiungere questo numero non posso stare dieci minuti al telefono con ogni persona. Qui siamo in cinque ogni turno, e non è che i telefoni squillino proprio di continuo.

“…”
“E’ arrivata? Bene, arrivederci”

Oggi a pranzo insalata di pollo e formaggio. Ho preso due petti di pollo, li ho cotti in una padella con poco olio, e adesso li sto tagliando con le forbici. Arcaico. Sono passato al supermercato e ho preso un po’ di groviera, un brie, un caprino e una caciottina dolce, li ho tutti spezzettati mentre il pollo cuoceva. Ho aggiunto una scatoletta di masi. Ora mescolo tutto insieme e poi sale, pepe, poco curry. Buonissima, inventata lì per lì.
Quando ho deciso che avrei mangiato solo insalate (di pasta, di riso, di pollo, di uova, di pesce, di verdure, di frutta) credevo di aver fatto una scelta di coscienza, lineare.
Ho sospeso la mia esistenza.
Da sei mesi aspetto una risposta da quell’azienda e il giorno stesso del colloquio ho attaccato al lavorare al call-center, turno di pomeriggio, esattamente sei mesi dopo aver discusso la mia tesi.
Le insalate sarebbero state la mia ciliegina sulla torta, l’incessante promemoria di una sconfortante futuro tra quattro mura, di fronte al sogno di giornate dentro spazi sconfinati.
E invece, ho capito che io la vita la assaporo, che ho imparato ad abbinare un vino ad ogni sapore delle mie insalate, che ogni singola ridicola telefonata mi lascia qualcosa dentro e che sto esplodendo. C’è troppo al di là di una cornetta e di una ciotola.

“Se vuole posso metterla in contatto direttamente con il negozio di fiori”.

Squilla il mio cellulare. Devo essermi dimenticato di spegnerlo. Attacco il telefono dopo aver chiamato per il signore quel negozio di fiori. Rispondo dopo aver osservato il numero. Fisso la ciotolina con la mia macedonia di pesche e ciliegie.

“Si sono io”
“….”
“ Si sono ancora disponibile”
“….”
“Va benissimo domani, ma se vuole posso fare un salto in stasera”
“….”
“Allora a più tardi”.

Tiro fuori dal cassetto la mia lettera per le dimissioni, l’ho scritta il primo giorno che mi sono seduto a questa scrivania. Mi aspetta un tramonto al sapore d’uva, e un futuro dentro spazi sconfinati.