Se parliamo di tradizioni natalizie, il dolce che vi propongo oggi ne è il simbolo. Originario della Liguria ma apprezzato in tutta l’Italia, il Pandolce genovese fa parte di quella ricca schiera dei pani arricchiti, tradizionali delle feste in molte regioni italiane. Leggenda vuole che sia stato il doge Andrea Doria, nel ‘500, a bandire un concorso tra i maestri pasticceri di Genova per la creazione di un dolce rappresentativo della ricchezza cittadina. Questo dessert doveva essere coerente con l’anima marinara genovese: nutriente ma di lunga conservazione, da tenere in cambusa durante i lunghi viaggi per mare. Nacque così il pandolce, una sorta di focaccia di pasta lievitata farcita. Indipendentemente dall’attendibilità storica del fatto, il pandolce si collocò saldamente nella tradizione del Natale ligure, tanto da diventare il protagonista di un rito propiziatorio di salute, fortuna, soldi per il nuovo anno. E ancora oggi la tradizione esige che il più giovane estragga il rametto d’ulivo che si colloca al centro e lo conservi come simbolo di buon auspicio. Il più anziano a tavola invece, taglia le porzioni e ne conserva due fette: una per il viandante o il povero che potrebbe bussare alla porta e l’altra per San Biagio (3 febbraio), protettore della gola. Tutto viene innaffiato con vino di Coronata e lo Sciacchetrà che accompagna i dolci.
Prepararlo non è difficile, eccetto per il fatto che bisogna preparare una parte dell’impasto il giorno prima e poi tenerlo in un luogo caldo almeno per 24 ore, in modo che la pasta possa lievitare al massimo.
Esiste una variante di questo dolce che prevede una lievitazione di sole due ore. Otterrete così un dolce meno alto ma di sicuro altrettanto gustoso. Io però vi consiglio la versione tradizionale. Il pandolce si mantiene fresco anche per un mese, poi si secca e si può conservare a lungo. Con un semplice passaggio in forno ritornerà fragrante come appena fatto.