il Gorgonzola, bontà DOP

Il formaggio gorgonzola ha origini molto antiche:gli storici fissano la sua nascita intorno al IX secolo d.C. nell’omonima località alle porte di Milano, che all’epoca era un importante centro di scambio di mandrie. Anticamente il gorgonzola era chiamato “stracchino di Gorgonzola”. La stessa parola “stracchino” deriva da “stracco” ovvero “stanco” e si riferisce, già in epoca romana, alle transumanze delle mandrie di vacche dalle Alpi alle marcite della Valle Padana, particolarmente fiorenti dopo l’intervento di frati e monaci, che razionalizzarono l’agricoltura d’allora.

La diffusione del gorgonzola fu dapprima locale, ma dagli inizi del ‘900 inizia a conoscere i primi successi e in breve diventa il formaggio italiano più esportato all’estero: nel dopoguerra nascono le imitazioni di questo prodotto, ed i produttori di gorgonzola corrono ai ripari per difendere le peculiarità del loro prodotto chiedendo ed ottenendo, negli anni ’50, la DOP (denominazione di origine protetta): viene così stabilito che solo due regioni italiane, per legge e tradizione, possono produrlo: Piemonte e Lombardia, e che solo il latte degli allevamenti di queste province può essere usato per produrre e dare quindi la denominazione di origine controllata al formaggio gorgonzola.

Il gorgonzola si ricava da latte vaccino intero pastorizzato che viene versato in caldaie alla temperatura di circa 30°, aggiungendovi fermenti lattici, caglio e spore di penicilli. A coagulazione avvenuta, la cagliata viene rotta e depositata sugli spersori per lasciare fuoriuscire il siero. Dopo alcuni minuti la cagliata viene sistemata entro i fassiroli o fascere, in quantità di circa 14/15 kg per ogni forma, per stratificazione e viene lasciata sostare per permettere ulteriore perdita di siero. Dopo la marchiatura, la forma viene trasferita in un locale denominato “purgatorio” (celle a 20/22°C con il 90/95% di umidità), viene salata con molta perizia, sopra, sotto e sui fianchi e dopo 3/4 giorni si avvia alla stagionatura. In questi locali con temperatura di 2/7° C ed umidità 85/95% la forma sosterà da 50 a 80 giorni a seconda del tipo (dolce o piccante). Quando la forma è ancora tra le tre e le quattro settimane, ha luogo la foratura. Grossi aghi metallici la penetrano, l’aria entra nella pasta e sviluppa le colture già innestate nella cagliata, determinando le condizioni ottimali e naturali per lo sviluppo del penicillium, da qui le caratteristiche venature blu/verdi che rendono il formaggio gorgonzola inconfondibile. Al termine della stagionatura la forma viene tagliata in due o ulteriormente frazionata e ciascuna parte riceve la sua veste di alluminio goffrato riportante il contrassegno “g”. La stagionatura si protrae per almeno 2 mesi per il tipo dolce ed oltre 3 mesi per il tipo piccante.

Mangiare integrale: un piatto unico con riso nero

cibo integrale

Sembra che ormai tutti siano d’accordo che i cibi integrali fanno bene: pane integrale, sale integrale, pasta integrale, riso integrale e tutto quanto vi viene in mente. Ma cosa vuol dire integrale? Integrale significa proprio quello che sembra, “integro“, quindi intero, completo, in possesso di tutti gli elementi nutritivi che ha all’origine. Gli alimenti integrali sono tutti quei prodotti ottenuti dai cereali e che non sono stati “raffinati”.

Nelle diete gli alimenti integrali sono sempre consigliati. sia perchè danno un maggiore senso di sazietà, sia perchè sono ricchi di fibre (i nutrizionisti consigliano 30-35 grammi al giorno di fibre). A livello di apporto calorico l’integrale rispetto agli altri cibi a volte ne possiede una quantità minore in effetti, ma la differenza è veramente minima.

Una pecca degli alimenti integrali, anche se non sempre, è il gusto: talvolta sono meno saporiti degli alimenti “raffinati”, è vero, ma non bisogna generalizzare. Il riso integrale “nero” ad esempio ha un sapore ed un profumo molto particolari, ed è un riso integrale a tutti gli effetti: in Italia è chiamato Venere ed è perfetto per preparare degli ottimi piatti unici.

Salsa tartara: come e perché

salsa tonnata

Molto importanti in cucina perché accompagnano o sono alla base di numerose ricette, le salse hanno il pregio di impreziosire i cibi e di trasformare in qualche cosa di speciale anche i piatti più semplici. Sia calde che fredde le salse, una volta preparare, non vanno mai scaldate direttamente sul fuoco. Il modo migliore è quello di mantenerla calda fino al momento di servirla, tenendola a bagnomaria.

Per evitare, inoltre, che sulla sua superficie si formi quello che viene chiamato “velo”, distribuitevi sopra qualche pezzetto di burro e mescolate solo all’ ultimo minuto. La salsa tartara tuttavia non corre questo rischio infatti è una salsa fredda, variante della più classica maionese, è un eccellente accompagnamento a pesci, carni e uova sode. Di media difficoltà e anche di rapida preparazione Ginger vi propone la regina delle ricette
Salsa tartara ( ingredienti per circa 250gr di salsa)

Un dolce Pasquale che arriva dalla Campania, la Pastiera

I dolci della tradizione Pasquale in Italia sono molti e diversi in ogni regione. Ma un dolce che è particolarmente apprezzato in tutto lo stivale tipico della cucina Campana è indubbiamente la Pastiera.

La Pastiera è un dolce talmente amato dagli italiani che, girando tra i supermercati, ho notato che una nota casa produttrice di dolciumi ha pensato, addirittura, di produrla e venderla confezionata.

Cose da non credere! Ma per chi preferisce i gusti freschi e genuini dei prodotti fatti in casa, con ingredienti scelti e di prima qualità eccovi la ricetta per fare in casa un ottima Pastiera.

Uovo di Pasqua

L’uovo di pasqua. Il simbolo di una festa. Ogni volta che ci pensiamo evochiamo le immagini di confezioni colorate, nastrini, carta crespa e sorprese. Ma l’uovo di pasqua è una tradizione antica, che si perde nella notte dei tempi. Il simbolo della vita in se stessa, ma anche del mistero, della sacralità.
In alcune credenze pagane, il Cielo e la Terra erano rappresentati come due metà dello stesso uovo, e le uova erano il simbolo del ritorno della vita. Gli uccelli infatti si preparavano il nido e lo utilizzavano per le uova, che schiudevano una nuova vita, rituale simbolico del passaggio alla primavera.

Anche popoli come i Greci, i Cinesi ed i Persiani se li scambiavano come dono simbolo di rinascita, per le feste della stagione della fioritura, e nell’antico Egitto le uova decorate erano scambiate all’equinozio di primavera, data di inizio del nuovo anno, quando l’anno era legato alla sequenza delle stagioni.

L’origine più corretta della tradizione dell’uovo nella festa cristiana, risale alla Pasqua ebraica, chiamata Pesach (dall’ebraico Pasàch, “passare oltre”, in inglese passover). La tradizione religiosa vuole che la sera della festa di Pesach, i primogeniti mangino un uovo sodo, che deve essere consumato intero, senza dividerlo con nessuno. In effetti, la festa della pasqua ebraica e di quella cristiana, pur celebrando due eventi differenti (l’uscita degli ebrei dall’Egitto per una, la resurrezione di Cristo per l’altra) cadono più o meno nello stesso periodo dell’anno, e la data della festa cristiana segue il calendario ebraico.

Ma, secondo la tradizione, fu Francesco I di Francia, nel ‘500, a ricevere il primo uovo di Pasqua. Una tradizione che rinnovandosi nei secoli, è divenuta un vero e proprio fenomeno di costume.

Pasta avanzata? Pasticciamola!

tagliatelle

Vi abbiamo già suggerito un modo per utilizzare la pasta avanzata dal giorno prima: la frittata di pasta. Oggi vi proponiamo invece una soluzione alternativa, perfetta soprattutto per la pasta fresca come le tagliatelle.

La pasta fresca è un alimento “della domenica” o comunque “delle occasioni speciali” e sono proprio queste le volte in cui è più facile abbondare, o meglio esagerare, con le le dosi della pasta. La pasta in eccesso potete lasciarla senza condimento e metterla in frigo con un po’ di olio, pronta per essere utilizzata il giorno dopo. Se invece vi accorgete che la pasta è troppa solo dopo che la avete già irrorata di sugo va bene uguale: la ricetta che vi proponiamo può andare bene per delle tagliatelle ai funghi, al ragù o qualunque sia il condimento che avete usato. Nell’illustrarvi la ricetta però faremo finta di avere delle tagliatelle “in bianco” per rendere la spiegazione più semplice.

Ti senti più “bistecca” o “insalata”?

Arriva da Washington l’ultima dimostrazione di quanto uomo e donna siano agli antipodi anche dal punto di vista dei piaceri della tavola.
Quando si tratta di mangiare pare infatti che i maschietti preferiscano la carne mentre le femminuccie prediligano cibi a basso contenuto calorico come frutta, verdura e yogurt.
Questa “novità” è il risultato di un’indagine condotta su 14mila statunitensi adulti e presentata all’International Conference on Emerging Infectious Diseases di Atlanta, in Georgia.

Un contorno un pò insolito, i Crostoni dorati di patate

Un contorno o un entrèe un po’ particolari, che sostituiscano i soliti piatti abituali, sono un po’ difficili da inventare.

Per quanto mi riguarda, tutti gli sforzi che faccio, mi portano sempre a fare o delle bruschettine, con condimenti differenti al pomodoro, o delle verdure stufate o grigliate, ma difficilmente riesco a scostarmi da queste portate.

Ma cercando per bene tra i ricettari ho scoperto un piatto, tra l’altro abbastanza nutriente da poter benissimo sostituire un secondo, molto particolare e “simpatico”, gustoso e non troppo complicato da preparare.

Adattissimo ai bambini, sempre ghiotti di patate, e perfetto per i vegetariani. Di cosa parlo? È vero, ancora non li ho nominati, i Crostoni dorati di patate.

Impariamo a conoscere (e fare) i Marshmallows

Chi ha familiarità con le strisce dei Peanuts sa che sono la componente fondamentale dei pasti intorno al fuoco di Snoopy e della sua compagnia scout composta da Bill, Conrad, Harriet e Oliver, i fratelli del piccolo uccello giallo Woodstock; chi non legge i fumetti di Shultz li avrà visti sicuramente in qualche movie statunitense: parliamo dei murshmellows, cilindretti di zucchero ricavati in origine dalla pianta Althaea officinalis, consumati principalmente negli Stati Uniti ma ormai diffusi ampiamente in tutto l’Occidente.

Di colore bianco e morbidi al tatto, i marshmallows vengono solitamente scottati sul fuoco ed inseriti tra due biscotti insieme ad un pezzo di cioccolata, e prendono il nome di s’more. I marshmallows possono essere preparati o bruciandoli o arrostendoli solo fino a conferirgli un perfetto colore marrone dorato: noi li preferiamo nel secondo modo. Il nome deriva da marshes, “paludi”, poichè è qui che troviamo la pianta- che si chiama mallow– da cui si estrae il succo necessario alla preparazione dei marsh-mallows.

Ma prima che negli Stati Uniti, i marshmallows erano popolari in Francia già nel 1800, periodo in cui i francesi iniziarono a cercare di fabbricarli nel modo più efficace: intorno al 1850 invece di fare il dolce sbattendo il succo estratto dalla radice della pianta di mallow a mano, inventarono un processo di lavorazione con gelatina di grano. Comunque il procedimento era ancora molto lungo, ed è solo nel XX secolo, e precisamente nel 1948, che Alex Doumak inventò il processo utilizzato oggigiorno in cui gli ingredienti del marshmallow vengono estrusi e poi sono tagliati e impacchettati. Dopo l’invenzione di Doumak, il marshmallow è diventato estremamente popolare.

Cumino in crema di carote

crema carote

Il cumino è una spezia molto utilizzata soprattutto in Oriente. Ha un sapore forte, leggermente amarognolo ed un po’ pepato e viene spesso usato nelle preparazione del curry. Il cumino si trova generalmente in semi od in polvere. E’ anche molto usato nel Nord Europa per preparare liquori e dolci, ed è ottimo per tisane ed infusi.

Come molte spezie anche ad esso sono state attribuite proprietà magiche, come quella di tenere lontani i demoni o di non fare allontanare gli animali domestici. Il cumino si trova in due varietà, quello nero e quella giallognolo, più diffuso dalle nostre parti. Spesso viene mixato con altre spezie: in Marocco con l’aglio, il peperoncino ed il coriandolo forma il tabel, in India con la paprica, il coriandolo e lo zenzero per preparare la marinata del pollo Tandoori.

I suoi usi quindi sono innumerevoli, dalle carni grigliate alle zuppe. Quella che vi suggeriamo oggi è di fatto una specie di zuppa insaporita al cumino, adatta soprattutto per le cena, per rimanere leggeri e non rinunciare al gusto.

Vino e belpaese… VinItaly!

Dal 3 al 7 aprile, nella città che diede i natali a Romeo e Giulietta (Verona) presso il Palazzo della Gran Guardia in piazza Bra si svolge l’annuale manifestazione di Vinitaly.
Dalle 9.00 alle 18.30 sarà un susseguirsi di eventi, dentro e fuori dalla fiera, da non perdere sia per gli esperti di enologia nazionale ed internazionale ma anche per chi ama sorseggiare piacevolmente un bicchiere di ottimo vino ascoltando musica dal vivo e gustando qualche stuzzichino.

Perché il soufflè si sgonfia quando è ancora in forno?

Se siete tra coloro i quali il termine soufflè mette paura perché credete sia difficile da realizzare seguite i suggerimenti che stiamo per darvi e metteteli alla prova. I soufflè sono preparazioni cotte al forno, dolci o salate. Di facile realizzazione nonostante i luoghi comuni, ma con l’ imperativo della lavorazione di alcuni ingredienti: sto parlando degli albumi montati a neve.

I soufflè quindi, per avere una buona riuscita, durante e dopo la cottura devono seguire queste semplici regole:
  1. utilizzate uno stampo da soufflè cilindrico, con una base ampia e dai lati molto alti, da preferire i contenitori in materiale di porcellana da forno o vetro resistente al calore
  2. imburrate sempre il recipiente fino all’orlo: questo è uno dei segreti per far gonfiare meglio il soufflè
  3. attenzione però a non riempire fino all’orlo il recipiente con il composto, fermatevi sempre a circa 2cm dal bordo così da evitare la fuoriuscita del soufflè in cottura e il relativo sgonfiamento
  4. infornate sempre a forno già caldo: la temperatura ideale deve essere intorno ai 180°/190°, da mantenere costante per i primi 20/25 minuti di cottura, in seguito potete portarla a circa 170° per altri 10’

Risotto alle ortiche, buono e non pizzica!

ortica

Sapevate che l’ortica è una pianta selvatica ottima per preparare frittate e risotti? Proprio la solita ortica che quando eravamo piccoli e andavamo in montagna o in campagna puntualmente finiva per strusciare sulle nostre gambe e sulle nostre mani e pizzicava un sacco. L’ortica pizzica anche ora che siamo cresciuti ma per utilizzarla in cucina basta usare un paio di guanti e metterrne da parte le punte più tenere con i germogli.

La primavera è il momento migliore per cominciare a raccogliere le cime d’ortica e le foglioline più giovani. L’ortica ha proprietà diuretiche, digestive e depurative e per eliminarne le proprietà “urticanti” bastano il calore o 12 ore di essicazione.

Vediamo come preparare il risotto.