Ho preparato tanti tipi di pani, per i vari impasti mi sono stati di aiuto la fantasia, gli ingredienti a disposizione, i consigli e le ricette scovate su giornali e pubblicazioni varie.
Non ho avuto bisogno delle varie macchine del pane, impastatrici e di tutto quello che la tecnologia moderna mette a disposizione delle intrepide casalinghe.
Non ho voluto la macchina del pane (anche se un pensierino l’ho fatto) solamente perché in cucina ho uno spazio ridotto per cui, spesso, devo fare i salti mortali per l’ottimizzazione dei piani di lavoro.
E poi ho visto la fine che ha fatto quella di mia figlia che, dopo gli ululati di gioia per i primi pani appena sfornati, è stata relegata nel dimenticatoio che viste, le dimensioni della stessa richiede un bel po’ di spazio.
Desidero parlare un po’ della storia di questo prezioso alimento che spesso viene additato come colpevole del “grasso superfluo”, salvo scoprire poi che chi si lamenta dei maniglioni antipanico ne mangia, senza quasi accorgersene, fette su fette, fa la scarpetta, ci aggiunge formaggi vari, moquette di burro e marmellata, fiumi d’olio e sale perché tanto l’olio extra fa bene .
Io dico sempre che sono le quantità che devono essere limitate e che ci si deve far aiutare dal buon senso.
Non male come pistolotto iniziale, vero?
L’origine del pane, il cui nome deriva dal latino “panis” secondo alcune fonti da me consultate, risalirebbe a 10.000 anni fa e ne sono state trovate tracce in Mesopotamia.
Le prime “pagnotte” furono preparate miscelando vari tipi di cereali e dopo la raccolta, la pulitura e macinatura, sono state inventate varie tecniche per ridurli in farina.
Prima furono usati i mortai, poi arrivarono i mulini ad acqua che azionavano grosse macine fatte funzionare, prima con le braccia dei contadini e in seguito con animali da soma.
L’impasto base era costituito da cereali a cui si addizionava dell’acqua e null’altro in quanto il lievito era sconosciuto.
La scoperta, che avvenne intorno al 3.500 A.C., di questo prezioso e basilare ingrediente viene attribuita agli Egizi ed avvenne, come spesso succede, per caso: infatti i panettieri dell’epoca lasciavano l’impasto all’aria per cuocerlo il giorno dopo, ottenendo così un pane più soffice e profumato.
I Greci lo arricchirono con altri ingredienti e cioè con il latte e a volte con erbe aromatiche, con olio, formaggi e miele e impararono ad impastarlo la notte per cuocerlo il mattino successivo.
I Romani, diedero alla lavorazione del pane un valore artigianale con l’uso di farine bianche e dolci. I forni pubblici nacquero nel 168 A.C. e, ai tempi di Augusto, arrivarono ad un numero di 400.
Durante il periodo feudale il consumo del pane, preparato con i cereali migliori, era riservato alla nobiltà, mentre il popolo si doveva accontentare di miscele meno pregiate quali farro, orzo, e segale.
Bisogna arrivare al Rinascimento, e precisamente nel 1630, per l’introduzione del lievito di birra nella panificazione.
Fino a quel momento, come agente lievitante, veniva usata la “pasta madre”, cioè un impasto fermentato da una precedente lavorazione del pane ( se si fa attenzione anche ora in alcune ricette più sofisticate o preparate da “puristi” se ne fa uso).
L’uso del lievito di birra rese la produzione del pane più veloce e pratica, conferendo al pane un gusto più delicato.
Cosa succede durante il mistero della lievitazione?
Quando la farina è impastata con l’acqua si forma una proteina che si chiama glutine, una specie di maglia elastica che trattiene le bolle di ossido di carbonio che si vengono a formare e crea, in cottura, una struttura spugnosa.
Le ricette più diffuse prevedono l’uso di due parti di farina e di una parte di acqua e con l’aggiunta del lievito di birra o di lievito madre.
I cereali usati sono vari, come ad esempio il mais, la segale, la soia. Posono essere usati da soli o con l’aggiunta di vari tipi di condimenti e sempre con l’aggiunta di sale. Il pane confezionato in Toscana, Umbria e Marche ha invece la caratteristica, se così si può definire di non essere salato. Questo tipo di pane viene definito “sciocco” appunto senza sale e questo per esaltare il gusto del cibo a cui viene accompagnato.