Il pepe, Piper nigrum, è un arbusto rampicante delle Piperacee, originario dell’ India e della Malesia, coltivato oggi nei paesi tropicali. Si differenzia in «bianco» e «nero», ma si tratta dei frutti della stessa pianta, varia solo l’epoca della raccolta. Le piccole bacche vengono raccolte infatti sia acerbe, sia a maturazione completa.
Nel primo caso, le bacche ancora verdi vengono fatte essiccare al sole e assumono così il tipico aspetto rugoso e nerastro. Nel secondo vengono private della buccia e della polpa con un processo di fermentazione e lavaggio, e il nucleo biancastro e liscio che se ne ottiene è il «pepe bianco». La differenza principale fra i due tipi è nell’aroma, più intenso nel pepe nero, più morbido in quello bianco.
Il pepe, considerato spezia piccante per eccellenza, deve il suo aroma ad un olio essenziale che si volatilizza con la macinatura, ecco perché si dovrebbe usare sempre pepe appena macinato. Inoltre questo è un sistema per ovviare ad eventuali adulterazioni della polvere (si può trovare pepe macinato, prodotto con spezie scadenti).
Narra la leggenda che sia stato Alessandro Magno a introdurre il pepe in Grecia al rientro da una spedizione in Oriente. Ma per secoli fu usato solo come medicamento. Ippocrate lo consigliava infatti, mescolato a miele e aceto, per alleviare i dolori ciclici femminili. Si deve giungere all’epoca di Augusto per vederlo utilizzato come condimento, e fu una vera rivoluzione gastronomica. Apicio lo usava in quasi tutte le sue ricette, dolci e salate.
Sulle tavole più ricche facevano mostra di sé le «piperatoria» (Pepaiole d’argento) e come dessert venivano preparati semi di pepe bianco arrostiti col miele. Dai tempi degli imperatori romani fin quasi al secolo scorso la cucina speziata fu sinonimo di ricchezza. Pur tenendo conto che le spezie aiutavano a ritardare e soprattutto a camuffare il processo di putrefazione dei cibi, per secoli se ne abusò. Sembra che nel ‘200 nei conventi venissero distribuite ogni anno due libbre di pepe per ciascun monaco. L’importanza e il valore del pepe sono sottolineati dal fatto che in alcuni periodi fu usato come moneta di scambio al posto dell’ oro. Molta parte dei rapporti diplomatici tra Venezia e la Turchia nel 1400 era dedicata alle contrattazioni sul prezzo del pepe.
Venezia aveva acquisito il monopolio del commercio delle spezie all’epoca delle crociate, soppiantando Amalfi e oscurando Genova e lo mantenne fino alle grandi scoperte dei nuovi mondi e all’avvento di nuove spezie e nuovi cibi.
“Quando è nero, stimola la digestione e guarisce dalla pigrizia e dalla flemma. Quando è bianco fa bene allo stomaco e dà sollievo a chi soffre di tosse. Previene, in genere, i brividi e il primo insorgere della febbre”.
Così ne descriveva i benefici effetti la «Regola Salentina» nel 1100 e, usandolo con moderazione, non possiamo che trovarci concordi.