Solo una vera passione poteva originare un’azienda solida ed affermata come la MUTTI, una passione dipinta di rosso cominciata più di un secolo fa.
Per chi, come me, ama le vecchie storie e le vecchie tradizioni, è affascinante scoprire come, attraverso tante generazioni, può prendere forma un’idea capace di realizzare un sogno.
Il primo pomodoro lo pianta Giovanni Mutti, alla fine del 1800: anticipando i tempi intuisce la potenzialità delle rotazioni agricole ed apre la strada al nipote Marcellino che, circa quarant’ anni dopo, fonda la “Fratelli Mutti” aprendo il primo stabilimento a Basilicanova, dove veniva usata l’ antica tecnica della conserva nera in pani.
Col nuovo secolo arrivano i primi importanti riconoscimenti, come il Diploma di Medaglia d’Oro di 1°Grado, per la produzione di doppio concentrato sotto vuoto e il Diploma di gran croce, fino al 1951, quando Ugo Mutti stravolge il mercato proponendo il Concentrato di pomodoro in tubetto, una vera rivoluzione se pensiamo che fino a quel momento l’ unico prodotto proposto “in tubo” era il dentifricio!
Ma ci voleva un ulteriore tocco di genio per convincere i consumatori ad acquistare questo insolito prodotto, e così, come tappo alla confezione fu applicato un ditale in plastica per cucire, all’ epoca ancora molto usato dalle massaie: quella che oggi verrebbe definita una “strategia di marketing” allora fu semplicemente un’intuizione dettata dalle necessità quotidiane.
Oggi la Mutti lavora circa 1.3 milioni di pomodori l’ anno, per un fatturato pari a 60 milioni di eruo: una fortuna immensa, basata ancora su antichi principi di lavorazione e una minuziosa tracciabilità delle materie impiegate.
Possibile allora che un’azienda con un background cosi invidiabile sia minacciata dal mercato cinese? Incredibile ma vero! Il pericolo esiste ed ‘è concreto: alcune stime confermano tristemente che il 20% di conserve italiane contengono una parte di prodotto di origine cinese. I nostri piccoli (ma giganti!) rivali hanno costi di produzione inferiori del 40% rispetto ai nostri, a discapito di qualità e sicurezza (la loro piu grossa industria, la Chalkis, è di proprietà dell’ esercito ed i suoi terreni agricoli venivano usati come poligono nucleare!).
L’ unica arma che abbiamo è la garanzia sulla provenienza e sulla qualità del prodotto made-in-italy – dichiara Marcello Mutti – e, ovviamente, l’ amore per la nostra bell’ Italia dove i napoletani, secoli addietro, furono i primi ad afferrare questo strano frutto appena arrivato dall’ america e dire “è buono!” quando ancora tutti pensavano che potesse essere tossico.