Una gran veduta della campagna senese, una torre medievale si riflette nell’insegna di un ristorante, cesti di verdura all’aria aperta in un mercato di paese, le mani sapienti di un cuoco versano olio d’oliva…
Ecco, tutti gli ingredienti tipici che nell’immaginario mondiale veicolano qualità e produzione tipica dell’Italia, della Toscana. Il riassunto del viver bene “all’Italiana”.
A vederli così accostati pensiamo subito ad uno spot, ad una pubblicità. E’ vero. Siamo così avvezzi alle operazioni di marketing che accostano con disinvoltura questi simboli dello stile enogastronomico italiano ad una zuppa pronta, ad un vino in cartone, ad un condimento liofilizzato, da fare per primi l’associazione. Fin qui niente di nuovo.
A vederli così accostati pensiamo subito ad uno spot, ad una pubblicità. E’ vero. Siamo così avvezzi alle operazioni di marketing che accostano con disinvoltura questi simboli dello stile enogastronomico italiano ad una zuppa pronta, ad un vino in cartone, ad un condimento liofilizzato, da fare per primi l’associazione. Fin qui niente di nuovo.
Segno dei tempi, si dice. La massaia del XXI secolo deve trovare prodotti compatibili con la velocità della vita modernamente intesa. Poco importa se una delle principali lezioni della cucina è proprio quella di avere più tempo, di rallentare, di prendersela comoda. La massaia ci si rispecchia, in quell’immagine, che accosta un prodotto fresco, ad un surrogato in polvere. E anche noi, in fondo, ci siamo (quasi) arresi a trovarlo normale.
Che c’è di nuovo dunque, in questa riflessione? Mica penserete di rubarci l’attenzione con una trita discussione sulla liceità di sfruttare le immagini cardine della tradizione del belpaese come strumento di marketing? E’ roba vecchia, questa. E avete ragione, datemi solo il tempo di spostare la nostra riflessione sui limiti, di questa disinvolta comunicazione.
Visi rugosi di un antico villaggio di pescatori per promuovere un tubetto di pasta d’alici?
Banale, come sorprenderci per una lezione pubblicitaria degli anni 60′.
Famiglie contadine immerse in campi di grano che mangiano merendine in pacchetti di plastica?
Così ovvio da sembrare consuetudine…
Fin dove può spingersi dunque, la pubblicità per svegliare finalmente la nostra incredulità?
Basterà, per dire, usare una riproduzione bucolica di “campagna senese, cesti di verdure e torri medievali” per pubblicizzare una scatola di cibo per cani? Potrebbe questa eventualità scuoterci fino a provocare una reazione?
L’immenso patrimonio di sapori millenari, di antiche famiglie, di segreti tramandati per “spingere” dei bocconcini marroni in una bava unta che emanano un odore da svenire?
Non c’è bisogno di immaginarlo, perchè questo è quello che è già successo. La foto in apertura (strappata da una rivista americana al volo da una nostra lettrice) pubblicizza proprio CIBO PER GATTI.
Dentro la lattina, ci trovate la Toscana intera. Questo è quello che ci suggerisce questa agenzia pubblicitaria. Trattate il vostro felino da vero gourmet. Perchè portarlo a spasso tra le ceste dei mercati, o introdurlo nelle cucine in mezzo a cuochi impazziti? Se potete rovesciargli nella ciotola dei pezzi di carne di manzo selezionati, saltati in padella con l’olio d’oliva, come fanno i veri cuochi italiani, se…
Dentro la lattina, ci trovate la Toscana intera.
SI, e fuori dalla lattina, noi italiani, che facciamo? Quante volte si è parlato di “necessità di creare un sistema integrato di promozione complessiva del settore agroalimentare italiano”, o di “tutela dei fattori di eccellenza della cucina italiana per impedire che vengano annebbiati da fattori di poca credibilità”? Ne parliamo, ne parliamo, ma poi saltano fuori storie orribili, come questa. Che vanificano, che banalizzano, che storpiano il lavoro di milioni di addetti in uno dei pochissimi settori d’eccellenza del nostro paese.
Dentro la lattina, ci trovate la Toscana intera.
Prima di fare ogni valutazione che includa tratti buonisti, vogliamo provare a risponderci se altri paesi avrebbero permesso questo vergognoso accostamento? Se, per fare un esempio, i nostri cugini d’oltralpe non avrebbero, che so, minacciato di uscire dalla NATO, o ritirato la propria candidatura come membro permanente dell’ONU se uno si fosse solo azzardato a vilipendere, la Borgogna, la Provenza, finanche la Lorena?
Anzi, senza scomodare esagerazioni, citiamo un episodio di cronaca: Febbraio 2008 – Nicolas Sarkozy all’ inaugurazione del 45° Salone dell’ Agricoltura a Parigi, apre con un annuncio altisonante: «Ho chiesto che la nostra gastronomia venga iscritta al patrimonio mondiale dell’Unesco»
Anzi, senza scomodare esagerazioni, citiamo un episodio di cronaca: Febbraio 2008 – Nicolas Sarkozy all’ inaugurazione del 45° Salone dell’ Agricoltura a Parigi, apre con un annuncio altisonante: «Ho chiesto che la nostra gastronomia venga iscritta al patrimonio mondiale dell’Unesco»
E noi? Ah, beh…
Dentro la lattina, ci trovate la Toscana intera.
Se ne era occupato anche l’ex ministro Giovanni Alemanno, di “salvaguardia della filiera produttiva, optando a favore di un sistema agroalimentare compatto”.
Ma questa compattezza dov’è? Non è campanilismo questo, è tutela dei nostri interessi economici. Ogni volta che subiamo affronti come questo, scaliamo nel gradimento dei consumatori planetari. Ed oggi la cucina italiana è incalzata da una concorrenza globale, che sta velocemente cancellando le differenze territoriali. E la fermezza nel difendere la propria identità – non solo come fa Marchesi, chiamando in causa “l’eleganza della semplicità”, ma anche dal punto di vista pratico – è vitale.
Ma questa compattezza dov’è? Non è campanilismo questo, è tutela dei nostri interessi economici. Ogni volta che subiamo affronti come questo, scaliamo nel gradimento dei consumatori planetari. Ed oggi la cucina italiana è incalzata da una concorrenza globale, che sta velocemente cancellando le differenze territoriali. E la fermezza nel difendere la propria identità – non solo come fa Marchesi, chiamando in causa “l’eleganza della semplicità”, ma anche dal punto di vista pratico – è vitale.
La nostra cucina dà segni di risveglio da qualche tempo, ma come si può lavorare se si permettono queste “bordate” ogni volta che si apre una rivista straniera? I gastro-tecnologi spagnoli, per esempio tutelano meno (ed hanno anche di meno da tutelare) ma compensano con una grande vitalità. I nuovi chef inglesi hanno testimonial d’eccezione, come il mediatico Jamie Olivier. Sono fenomeni che non vanno snobbati, questi. Finchè tutti noi non saremo convinti che la percezione della qualità dei nostri prodotti avviene non solo sulla tavola, cioè di fronte al prodotto finito, ma è una battaglia che coinvolge tutto il sistema della comunicazione – e tutte le forze del paese, dal singolo ristoratore al politico al parlamento europeo -, non potremo far altro che vederci rappresentare, come una parodia di noi stessi.
Dentro la lattina, ci trovate la Toscana intera.
Ci piacerebbe che noi di Ginger, non fossimo soli in questa amara riflessione, e che a condividere il nostro sdegno qualcuno ci facesse almeno compagnia. Sentiamo spesso parlare di volontà di rafforzamento della cultura italiana all’estero, di presidio dei marchi italiani, di creazione di organi per la tutela dell’immagine enogastronomica. Ma ne sentiamo solo parlare, appunto. Non una voce, quando c’è da sfidare chi ha gettato in faccia un guanto alla nostra credibilità. Ci piacerebbe che alla Nestlè S.A. (uno dei gruppi alimentari più grandi del pianeta), proprietaria del brand PURINA “Fancy Feast”, qualcuno avesse chiesto conto, chiedendo di ritirare o di modificare quanto meno, un messaggio pubblicitario lesivo dell’immagine della Toscana e della cucina italiana. Succede di frequente in campo pubblicitario. Non succede mai, quando la parte lesa è l’Italia.
Dentro la lattina, ci trovate la Toscana intera.
Ma vaffanculo.
Grazie alla lettrice Melania Valle, per la gentile segnalazione. Melania ha scritto anche all’Assessore al Turismo della Regione Toscana, all’Accademia Italiana della Cucina, a Slowfood, a Vittoria Brambilla.