E’ il dolce per eccellenza, una prelibatezza che non conosce vie di mezzo: o la si odia o la si ama appassionatamente. E’ sicuramente impegnativa, sia per la preparazione che per il consumo, vista la ricchezza degli ingredienti e l’elevatissimo apporto calorico.
Si può dire che certamente la cassata è il dolce che più di tutti racchiude in sé il patrimonio gastronomico apportato da dominazioni e da culture diverse da quella italiana. La ricetta della cassata è stata tramandata attraverso i secoli raccogliendo via via nuovi ingredienti, applicazioni di nuovi metodi, usi e esperienze diverse; qualunque civiltà sia passata in Sicilia ha lasciato tracce di sè in questo dolce meraviglioso e opulento.
L’origine del nome è dato dall’arabo “quas’at”, cioè “ciotola”, il recipiente rotondo nel quale veniva cotta la Cassata, ma potrebbe anche derivare dal latino “caseum”, formaggio, di cui è composto il ripieno.
Il primo a cimentarsi in questa preparazione è stato, a Palermo nell’anno 1000, nel periodo della dominazione araba, il cuoco dell’Emiro della Kalsa. La cucina saracena usava ingredienti fino ad allora sconosciuti nel territorio siciliano: la canna da zucchero, il limone, l’arancia amara, il mandarino; fu facile unirli alla ricotta, che veniva prodotta in Sicilia già dai tempi della Preistoria, assieme alle spezie e agli aromi, sempre portati dagli Arabi. In principio fu solo un involucro cotto al forno di pasta frolla ripiena di ricotta, zucchero, agrumi e aromi , e questa versione essenziale esiste ancora e si chiama , appunto, Cassata al forno. Dopo gli Arabi arrivarono i Normanni, e fecero conoscere la lavorazione della Pasta reale, o pasta di mandorle, e allora questa pasta sostituì, arricchita di altri aromi e coloranti naturali, l’involucro di pasta frolla usato fino ad allora, e la Cassata divenne definitivamente una preparazione a freddo.