Il Martini Cocktail, detto anche Dry Martini, è uno dei cocktail più famosi al mondo. Il suo nome rivela una possibile origine italiana ma, come sempre quando si tratta delle ricette, non è dato sapere con certezza chi lo abbia inventato. C’è chi sostiene che sia opera di un barista di origine ligure di nome Martini, emigrato negli Stati Uniti, che avrebbe creato la famosa miscela di liquori intorno al 1910. Potrebbe anche trattarsi dell’invenzione di un certo Martinez di New Orleans ma comunque stiano le cose resta il fatto che, da quando è stato inventato, il Dry Martini è divenuto il re dei cocktail, si prepara in molte varianti e con un rito che ogni bravo barman conosce alla perfezione. Volete sapere come?
La base del Martini sono il gin e il vermouth dry. Le dosi dovrebbero essere 8/10 di gin e 2/1o di vermouth. La miscela si prepara nel mixing glass e poi si filtra in una coppetta cocktail. Per decorare e profumare, si utilizza un lemon twist (scorzetta di limone) o un’oliva verde. Il Martini si serve in un tipico bicchiere, che appunto si chiama “bicchiere da Martini”: si tratta della classica “coppetta cocktail” di forma conica e con lo stelo lungo e sottile, che impedisce al calore della mano di riscaldare il contenuto del bicchiere. La capienza di questo tipo di bicchiere va dai 6 ai 9 cl, una quantità perfetta per uno short drink dalla gradazione alcolica abbastanza elevata.
Come insegna James Bond, il perfetto Martini dovrebbe essere mescolato e non shackerato. Se invece delle classiche decorazioni aggiungete una cipollina, otterrete un Gibson, sostituendo invece il gin con la vodka, avrete un Vodkatini. Se infine lo gustate insieme ad un’ostrica cruda otterrete l’Oyster Martini. Le varianti sono infinite e si distinguono per la diversa percentuale del gin e del vermouth. Ernest Hemingway ad esempio, lo beveva con quindici parti di gin e una di vermouth dry.